Premessa del progetto pensato per il supporto agli alunni preadolescenti durante l'epidemia COVID.
Il titolo “DIDATTICA DI VICINANZA” nasce da una provocazione lanciata dalla professoressa Lucangeli, psicologa esperta in età evolutiva, preside della facoltà di psicologia di Padova. Lucangeli parla di come, in tempi di distanziamento sociale e fisico, si sia creata un’ “anomalia della connessione” tra le persone. Il virus ci costringe ad utilizzare i dispositivi informatici per poterci parlare e vedere. Ciò che “l’on-line” toglie tuttavia è il sentire l’altro. Abbiamo quindi connessioni che si giocano sul piano verbale, cognitivo razionale, ma l’impossibilità di un contatto fisico ostacola la risonanza emotiva e l’empatia. Ormai è arci noto il fatto che la comprensione dell’altro passi soprattutto dalla lettura quasi inconscia della comunicazione corporea, cinetica, emotiva del nostro interlocutore. Del resto la scoperta dei neuroni specchio per opera di Rizzolati, ci comunica un aspetto fondamentale del benessere umano: stiamo bene se abbiamo la possibilità di relazionarci e di specchiarci nell’altro; l’altro è il vero motore evolutivo. Ad oggi, dopo circa 25 anni da questa scoperta, ci rendiamo conto di come non venga dato, nella progettazione didattica ed educativa, il giusto risalto all’idea che l’altro sia per me fonte di crescita. Anzi… lasciando i ragazzi in pasto alla comunicazione senza corpo, rischiamo di sviluppare l’idea che l’altro sia per me una minaccia. E’ esemplare osservare i bambini piccoli nella scuola della pandemia: notiamo come, quando ci avviciniamo a loro, abbiano una reazione non verbale di chiusura, come se l’altro diventasse appunto qualcosa da cui difendermi.
Riprendendo Lucangeli e le sue argomentazioni sul connettoma, ci rendiamo conto del rischio che stiamo correndo. Il connettoma rappresenta l’intreccio delle reti sinaptiche che si sviluppano nel cervello, in seguito alla stimolazione ambientale. Ognuno sviluppa il proprio connettoma sulle esperienze che fa. Un giocatore di tennis, ad esempio, avrà le aree cerebrali connesse alla coordinazione motoria, all’utilizzo del braccio, alla potenza muscolare molto sviluppate… avrà sviluppato più sinapsi in queste aree, rispetto invece ad uno studioso che invece avrà sviluppato meno queste aree, ma maggiormente altre. Il cervello, continua Lucangeli, si sviluppa attraverso processi di “potatura” di terminazioni nervose non utili all’esperienza dell’individuo. E questo processo di “pruning” è attivo soprattutto in due fasi di vita: i primi 3 anni e la fase adolescenziale.
Il rischio più grave sotteso a quest’anomalia della connessione è l’impossibilità di percepire l’umanità dell’altro. Si corre il rischio che l’altro sia de-umanizzato e Volpato, docente di psicologia sociale all’università Bicocca di Milano, rileva come il processo di deumanizzazione sia preliminare all’agito violento. Ed in effetti duole constatare come ci sia una vera e propria esplosione di violenza barbarica soprattutto tra adolescenti (si pensi alle recenti immagini delle risse a Napoli o dei furti nei negozi di Torino).
Come siamo stati in grado di trovare un anticorpo che riconoscesse ed eliminasse il virus, allo stesso modo educatori, insegnanti, psicologi sono chiamati a trovare il vaccino per la deumanizzazione. In realtà il vaccino sarebbe dentro di noi, in un corredo immunitario ancestrale che ci fa definire essere umani: il vaccino sono i neuroni mirror di cui abbiamo parlato. Come tradurre la consapevolezza sui neuroni specchio in azione educativa? Avviando per l’appunto prassi di vicinanza che permettano il DECENTRAMENTO, la possibilità di mettersi nei panni dell’altro. Il decentramento non può prescindere da quella pedagogia narrativa descritta da Bruner, dove diamo spazio al racconto di sé, alla curiosità verso la storia dell’altro.
CONDIVIDI QUESTA PAGINA!